Ossigeno

Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore.

William Faulkner

Sessantunesimo piano. Comprensorio periferico.

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Il corridoio, freddo e sinistro, sembrava ancora più lungo tanto era male illuminato dai pochi led inseriti nelle fasce che correvano alla base dei muri.

Juno percorreva lentamente, respirando corto, i trecento metri che la separavano dalla cellula 961.

Il manometro segnalò con uno zufolio quasi beffardo gli ultimi grammi di ossigeno nel fondo dell’unità portatile appesa alla tracolla. Ora, se voleva raggiungere l’abitazione, doveva tenere bassa la frequenza respiratoria e procedere in semi-apnea: una boccata d’aria ogni trenta secondi.

Forse, avventurarsi così lontano e superare l’area metropolitana, era stato imprudente, giacché alla fine aveva dato fondo alla riserva.

Chissà se ne è valsa la pena, si chiese, mentre il sudore le appannava il plexiglas trasparente della protezione.

L’ultimo piano era ormai inabitato e gli unici moduli ancora occupati erano il 1000 e il 1001, molto più distanti, e in quel budello, da oltre un mese sotto-ossigenato e via via ridotto al solo azoto, si rischiava rapidamente l’asfissia.

Gli altoparlanti gracchiavano e ronzavano cupamente come grosse mosche in bottiglia.

Prima l’aria e adesso anche la musica – li maledì fra se – Ci stanno togliendo tutto. Ci abbandonano come appestati.

La cellula distava ancora un centinaio di metri. La spia si accese e l’erogatore smise di inviare la miscela gassosa nell’inalatore. Due minuscole lacrime le spuntarono agli angoli degli occhi. Aveva la testa pesante e una prima sensazione di vertigine la avvertì del pericolo imminente.

È tutto come in quel maledetto sogno. Da un momento all’altro i miei polmoni dovrebbero sfrigolare e disintegrarsi in una brodaglia di sangue e organi. Molto divertente – pensò, mentre cercava affannosamente di raggiungere l’abitacolo familiare.

958, 959, 960… Grazie a Dio sono salva.

L’indicatore di presenza sulla porta stagna era blu. Guth era in casa. Si trascinò per quegli ultimi metri, riuscì a fatica a comporre il codice, aprì il portellone, entrò e si strappò d’un sol gesto la maschera dal volto.

Guth era davanti all’unico oblò che dava sull’esterno. Non si girò e Juno poté respirare profondamente, una due tre volte, lentamente, senza far rumore.

Il gatto, grigio e macilento, le si avvicinò. Miagolò, strofinando il lunotto trasparente sulle gambe della padrona.

Guth finalmente distolse lo sguardo dal grigiore del panorama e la osservò, mentre lei, di spalle, scioglieva e lasciava cadere i lunghi capelli bianco latte, evitando così di mostrare il viso stanco e sudato e gli occhi lucidi.

– Con me Mimí si annoia! È te che vuole! – esclamò Guth – quindi tornò a fissare lo scialbo tramonto attraverso lo spesso vetro. Il sole, filtrato dallo scuro strato di pulviscolo, appariva smorto e opalescente.

Juno si asciugò il volto e si avvicinò al dispenser del cibo del gatto.

– Hai guardato il notiziario?

Lui fece no scuotendo la testa.

– Adesso è ufficiale, niente più animali nei comprensori. Domani verranno a prendercelo.

– E per il resto?

– Non ce l’abbiamo fatta. La Riserva ci ha negato la proroga del debito e anche il Cancellum.

Guth, lo sguardo fisso sulla luce diafana del cielo, sfilò le cannule dal naso e respirò l’aria già povera d’ossigeno della stanza.

Juno chiese:

– Quanta ne rimane?

– Quel poco che ci resta è già intaccato dall’anidride carbonica. Il digitale indica un’aria al 17 % di ossigeno. Abbiamo un modulo abitativo di circa 24 metri cubi, quindi più o meno 5 giorni, respirando a pieno ritmo.

– La morte, questa sconosciuta – disse lei mentre sfilava il casco al gatto.

Prese la scatola delle crocchette, la aprì e riempì il dispenser. Guth le si avvicinò e le accarezzò il viso.

– Sembri più stanca del solito. Fatti un bel cioccolato caldo.

– Ho visto Mark. Ci sono andata dopo aver parlato con le banche e, colmo della sfortuna, non era nemmeno nel suo modulo.

– Cavolo!

– Ma non mi sono arresa. L’ho trovato da Maria, nel secondo comprensorio.

– E come hai fatto a passare?

– Guth, da due giorni di sotto non si vede a un metro! E poi, domani è vigilia…

– Hai preso un enorme rischio! Abbiamo il pass in rosso.

– Si, però ho trovato qualcosa.

– Cosa perdio? Dai su, svuota il sacco.

– 170 litri di ossigeno puro.

– Un’intera bombola?

– Si, una! Una sola!

– A che prezzo?

– Novanta eurilleri al litro. Adesso non abbiamo più gettoni.

– Porco mondo. Cento volte più cara dell’acqua.

– Lo so. Ma non ti preoccupare, Mark si è portato garante. Pagheremo più in là, dopo le feste.

– Se ci arriviamo Juno, se ci arriviamo. E ora dov’è?

– Di sotto, al solito posto. Non ho potuto prendere il montacarichi. C’erano i guardiani in portineria. 61 piani con 15 chili sulle spalle non ce l’avrei fatta.

– OK, scenderò io dopo, a notte.

– Tanto è tutto inutile, non basterà.

– Perché dici questo?

– Mark e Maria la pensano così. Dicono che non rimetteranno in funzione gli erogatori prima di tre settimane e che oramai anche il mercato nero è tenuto in pugno dallo stesso Cancellum che non tira fuori più nulla e lascia gravitare i prezzi. È tutto sotto chiave, vorrei proprio sapere dove.

– Vuoi dire che lasceranno schiattare la metà del comprensorio nel giro di un paio di settimane? Idiozie!

– No, Guth, hanno ragione. L’aria del purificatore verrà pompata di nuovo negli impianti di aerazione fra venti lunghi giorni. Il giusto lasso di tempo per mandare all’altro mondo le migliaia di debitori insolventi, recuperare i moduli e affidarli a quelli delle periferie in lista d’attesa. Nuovi lavoratori. Nuovi clienti. Nuovi consumatori.

– D’aria.

– D’aria!

Juno azionò il pulsante delle poltroncine che si alzarono dal pavimento.

– Sediamoci un attimo – disse – facciamo il punto sul gatto.

– Il gatto?

– Certo. Dobbiamo salvare Mimì. Se passano domani…

Guth si massaggiò il mento ricoperto dalla peluria ispida e grigia. Lei notò il lieve tremolio della mano.

– Come ti senti Guth?

– Sto bene, almeno per ora. Sono solo stanco, anzi scoglionato. E tu?

– Tutto a posto Guth.

– E della foresta? Ne hai parlato con Mark?

– Certo. Ma è come pensavamo. Uscire dalla città è impossibile. Hanno già chiuso i due tunnel fino alla prossima erogazione. Per il resto è tutto muro. Nessuno entra, nessuno esce. Passano solo gli alti funzionari.

– Sembra ci sia molta gente sotto e soprattutto sopra gli alberi, a causa dei lupi.

– Pare sia così. E quelli che hanno capanne di fortuna crepano di freddo.

– Già.

– Bel Natale.

– Bel Natale.

– Ma almeno hanno l’aria.

– Nemmeno quella è pura, Juno, anche là l’ossigeno è a meno del 20%. Gli uomini di mano del Cancellum provocano un incendio dopo l’altro, ai margini della foresta. L’aria è satura di gas e l’ossigeno si riduce rapidamente.

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Bussarono alla porta.

– Chi potrà mai essere?

– Mio Dio, avranno trovato la bombola.

Guth, prima sollevò il gatto e lo infilò nel ripostiglio, poi andò ad aprire.

Erano in due. Il primo aveva la tuta bianca degli agenti del Cancellum. Il secondo era un buffo Babbo Natale col cappuccio rosso infilato sul casco.

Quest’ultimo parlò. La voce uscì arrochita dal microfonino del facciale a ventilazione assistita.

– Art Guth?

– Sì, sono io. ..

– Il sindaco quest’anno ha diviso i premi della riffa fra i cittadini del comprensorio. Il sorteggio è avvenuto questa mattina. Voi siete gli ultimi della lista. Questo è per voi. Buona fortuna e buone feste signori Art.

Porsero l’involucro e partirono.

– Buone feste, dice quello, piuttosto beffardo come augurio – mugugnò Guth, col pacchetto in una mano e aggiunse – Non è che poi pesi così tanto.

Juno, tutta eccitata, glielo tolse di mano.

Aveva ancora la testa pesante, la scarsa quantità di ossigeno nell’aria della stanza non l’aveva aiutata a rimettersi dallo stress respiratorio. Ma, nonostante ciò, gli occhi le brillavano di gioia e, tutta eccitata, prese immediatamente a sballare la scatola con la stessa frenesia di un bambino.

La febbrilità dei gesti fece rotolare in terra i barattoli, rossi e con la scritta bianca.

– Ma cos’è, Coca Cola? – chiese Guth.

Erano dodici lattine da cento grammi, come quelle della celebre marca, piccole e scintillanti, con tubicino e mascherina. Su ognuna una scritta ornata di stelline d’argento. Juno lesse ad alta voce: Aria di Natale. Denominazione di Origine Controllata. Ne stappò una, portò la mascherina alla bocca e inalò avidamente.

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Credits

Foto Skyline ( Staring into the future) : https://www.flickr.com/photos/chrischabot/

Foto foresta invernale (Forest) : https://www.flickr.com/photos/piter79/

Ultima foto (I think I saw Santa Claus) : https://www.flickr.com/photos/alexander_mueller_photolover/

Foto in evidenza : internet

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